Ricerca di sé(nso),  Sproloqui

Dall'”Alta infedeltà” agli “Atti dell’amore”: il salto (im)possibile.

Quest’estate, mentre tornavo dalle vacanze, ho scritto sul mio cellulare la bozza di un post con l’idea di pubblicarlo su Facebook.
Dopo l’ennesima delusione ricevuta da un ragazzo ero piena di risentimento+stanchezza emotiva+malinconia+cinismo e ho cominciato a rimuginare su tutte le volte in cui ho provato lo stesso subbuglio interiore e sul perché, ancora una volta, non riuscissi a venirne a capo.

Il post in questione si articolava in una serie di “Dovevo capirlo quando…” e giù l’elenco di 7 episodi legati ad altrettanti individui a causa dei quali, negli ultimi dieci anni, mi sono sentita offesa+trascurata+maltrattata+presa in giro, ma ai quali ho sempre dato più di una seconda possibilità, fino a che i motivi per sperarci ancora sono scemati da sé.
Man mano che scrivevo cercavo di tirare fuori nient’altro che la verità, ma al tempo stesso non potevo fare a meno di dar spazio a quell’ironia tagliente che mi caratterizza, e che avrebbe il potere di far arrossire tante ma taaante persone che hanno conti in sospeso con me, se solo avessi più faccia tosta e meno scrupoli di coscienza.

Scrivere questi pensieri è stato, sì, liberatorio, ma rileggendo il testo ultimato ho capito che non potevo pubblicarlo; innanzi tutto perché, seppure non avessi fatto nomi, i riferimenti erano abbastanza chiari e i soggetti rievocati – che tra l’altro sono ancora, tutti, tra i miei contatti – avrebbero potuto facilmente identificarsi nelle mie parole, e a quel punto si sarebbero potuti verificare bei casini ed incidenti diplomatici.

Ma in realtà, il vero motivo per cui non potevo compiere un gesto simile è un altro. Ma non ve lo svelo subito.
Il carico di riflessione che la stesura di questo post ha generato in me non si è esaurito in quel pomeriggio di viaggio. Nei giorni seguenti ho continuato a pensare se veramente la ripicca potesse essere il rimedio contro il mio senso di frustrazione e amarezza.

Ho cominciato a guardarmi intorno con occhi diversi, a provare a leggere le mie relazioni attraverso altri filtri. Ho vissuto esperienze significative come “Dialogo nel buio“, ho letto libri su come sviluppare l’empatia, ho scoperto la realtà straordinaria di Calciosociale, ma ho anche raccolto testimonianze di persone frustrate e infelici, che non sanno come cambiare la loro condizione. Ho osservato il modo in cui le persone intorno a me gestiscono i loro rapporti e con grande tristezza ho dovuto constatare che prevalgono, negli atteggiamenti di molti, concetti come: non mi cerchi -> sparisco, mi tratti male -> te la faccio pagare, mi hai tradito -> te ne faccio una ancora più grossa che te la ricorderai per tutta la vita.
Avete presente quel programma di Real Time intitolato “Alta infedeltà”? Strano a dirsi, ma è davvero illuminante in questo senso. Più di una volta ho voluto forzarmi a guardarlo, per capire cosa diamine dica il cervello alla gente che propina ‘ste schifezze. A parte le dubbie doti degli attori (quella, forse, è l’unica parte del programma che fa ridere), mi atterrisce proprio l’idea che si possa costruire una serie dedicata al modo in cui le persone si tradiscono e si vendicano, adottando i metodi più subdoli e cattivi che la mente umana possa concepire, godendoci a non finire. Ancor di più mi atterrisce la consapevolezza che, per quanto pompate da esigenze televisive, le storie narrate non siano così distanti dalla realtà: morbosità, possessività, aggressività, passioni torbide, calcoli egoistici e bugie… Tutta robaccia a cui sarebbe lecito ricorrere in nome dell’amore. :/

Ecco allora che il tarlo è tornato a rosicchiare il mio cervello, ecco che la spada ha ricominciato a spappolarmi le budella… E il tarlo e la spada hanno un nome: Søren Kierkegaard.

Ho letto il suo “Atti dell’amore” per la prima volta nel 2012, ma questo libro fa parte della schiera di amici di carta che da sempre vagano per casa decidendo di fermarsi sul comodino a intervalli regolari. E ogni volta è una scoperta. Oggi riapro il “mattone” lì dove avevo lasciato il segnalibro l’ultima volta. Si tratta di un passaggio in cui K. spiega il rapporto rivoluzionario che Cristo ha instaurato con Pietro, paradossalmente proprio “in virtù” del suo tradimento…

Il Salvatore del mondo non commise l’errore di pensare che la sua causa era perduta, perché non era stato Pietro a salvare Lui, ma pensò ch’Egli avrebbe perduto Pietro se non fosse corso a salvarlo. […]

Ma soltanto il fatto che nel momento più importante ti tocchi trovare pusillanimità e astuzia dove tu in forza dell’amicizia ti aspettavi di trovare coraggio e risolutezza; trovare ambiguità, falsità, evasione invece di apertura, risolutezza, fiducia; trovare soltanto chiacchiere invece di assennata riflessione: ahimè quant’è difficile allora, sotto la pressione del momento e della passione, poter capire da quale parte è il pericolo, quale fra gli amici è più in pericolo, se tu o lui che ti lascia a terra. Com’è difficile allora amare l’uomo che si vede – quando lo si vede cambiato a quel modo! […]

L’amore di Cristo per Pietro fu così senza limiti: nell’amare Pietro Egli mostrò come si ama l’uomo che si vede. Egli non disse: “Pietro deve cambiare e diventare un altro uomo prima ch’io possa tornare ad amarlo”. No, tutt’al contrario, Egli disse: “Pietro è Pietro e io lo amo; è il mio amore semmai che l’aiuterà a diventare un altro uomo!” Egli non ruppe quindi l’amicizia per riprenderla forse quando Pietro fosse diventato un altro uomo; no, Egli conservò intatta la sua amicizia, e fu proprio questo che aiutò Pietro a diventare un altro uomo. […]

Di solito si pensa che quando un uomo è cambiato essenzialmente in peggio, questo cambiamento dispensi dall’amarlo. Bella confusione di linguaggio: essere dispensati dall’amare, come se questo fosse una costrizione, un peso di cui si desidera sbarazzarsi! Ma il Cristianesimo domanda: forse che tu, per questo cambiamento, non lo vedi più? E la risposta sarà: certo che lo vedo, io vedo appunto che non merita più di essere amato. Ma se tu vedi questo, allora in fondo non vedi lui: tu vedi soltanto l’indegnità, l’imperfezione, ed ammetti con questo che tu, quando amavi lui, in un altro senso non amavi lui, ma soltanto vedevi le sue qualità e perfezioni che tu amavi. […]

Il punto non è di amare le perfezioni che si vedono in un uomo: ciò che conta non è che l’uomo sia o non sia perfetto, ed anche se è doloroso che quest’uomo sia cambiato, non ha cessato tuttavia di essere lo stesso uomo. […]

Nel campo dell’amore noi parliamo sempre dell’uomo perfetto e della donna perfetta; anche il Cristianesimo parla sempre, nel campo dell’amore, dell’uomo perfetto e della donna perfetta: ahimè, ma noi uomini parliamo dell’uomo perfetto per amarlo, il Cristianesimo parla dell’uomo perfetto che ama senza limiti l’uomo che vede. Se vuoi perciò diventare perfetto nell’amore, cerca di compiere questo dovere di amare l’uomo che vedi come tu lo vedi: quando egli è completamente cambiato, quando non ti ama più e forse con indifferenza si volta dall’altra parte o si volta ad amare un altro – amalo come tu lo vedi, quando ti tradisce e ti rinnega.

Ora, io ho un problema: non riesco più a ignorare queste parole. Non riesco a fare a meno di ripetermele in testa ogni volta che mi sento tradita e delusa… Per quanto tante volte la parte più fragile ma anche più incazzosa di me vorrebbe dare spazio a sentimenti di odio e chiusura, queste frasi sono le uniche che riescono a dare un senso a tutte le lacrime e i ribollimenti interiori che mi tormentano quando penso a chi mi ha fatto del male, consapevolmente o meno. Mi ripeto in testa sempre una frase: “Non smettere di pregare per lui/lei”. Non è per niente facile, ed è frequente il cedimento: spesso corrisponde ad irascibilità, acidità e silenzio ostile… Ma poi, in un modo o nell’altro, torno sui miei passi e non riesco più a negare a me stessa che questa sia l’unica e imprescindibile strada per liberare me e gli altri da pesi emotivi che rischiano di schiacciarci.

Tempo fa, un amico mi disse di aver trovato un po’ azzardata una frase che accompagnava un mio post, relativo sempre alla tematica dell’amore – “Non vedo alternative al Vangelo”, avevo scritto… Il rischio che lui ravvisava in un’affermazione del genere era di provocare una certa ostilità o il timore di non essere all’altezza da parte di persone che non si ritrovavano in quella scuola di pensiero, perché lontane dalla Chiesa o dal Cristianesimo in senso lato. Io ero perfettamente cosciente di questa possibilità quando avevo scritto quella frase, ma al tempo stesso mi animava la consapevolezza che non ci fosse niente di male ad esprimermi così chiaramente e che, anzi, fosse necessario, in quella circostanza, “mettere i puntini sulle i”.
Del resto, questo è l’obiettivo che mi pongo d’ora in poi: testimoniare che, proprio perché non ha niente a che fare con le bigotte e insensate chiusure che hanno messo in fuga tanti battezzati e non, quella del Vangelo è davvero la prospettiva più inclusiva che si possa desiderare, rispetto all’esigenza che ciascuno di noi sente di essere accettato ed amato per quello che è.

Ricordo ancora una conversazione telefonica decisamente animata in cui tirai fuori un concetto che nemmeno io pensavo, fino a quel momento, di avere dentro di me: rispetto alla pretesa (spesso inconscia) che l’altro ci ami come noi pensiamo di meritare di essere amati o come noi stessi lo ameremmo, la sfida più grande sta nell’accettare e accogliere il nostro prossimo proprio per il modo in cui è capace di amarci, con i suoi limiti, la sua incostanza, finanche la sua assenza.

Ci ho messo un po’ ad arrivare a queste conclusioni. Mi sono costate isolamento, senso di inadeguatezza, tanti pianti e cadute.
Però il fatto che abbia sentito forte il bisogno di scriverle adesso è la conferma che si tratta di un modo di intendere e vivere l’amore dal quale io non posso più prescindere; anche se questo dovesse comportare l’allontanamento o la derisione di quelli che mi dicono che così dimostro di essere debole, manipolabile, troppo disponibile, facile bersaglio di gratuite vessazioni.

Sono sempre più convinta che il mondo abbia bisogno di QUESTO amore. La gente ha bisogno di un’alternativa all’infedeltà, ai giochi di potere, alla malignità, alla confusione.

Amare l’uomo che si vede, senza pretendere di cambiarlo.

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Community organizer a Corviale (RM), community manager di GigsGuide e Calciosociale Italia, soprano nel Coro Giovanile Lavinium e nel Coro della Cappella Musicale della Chiesa degli Artisti. Appassionata di editoria, scrittura, musica e viaggi.

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