Letture Illuminanti

I libri della mia vita – #2 “De profundis”, Oscar Wilde

220px-Oscar_Wilde_Signature.svgLo ammetto: non me l’aspettavo.
Già, perchè l’immagine che molti hanno di Oscar Wilde è quella del dandy sregolato e irriverente, dedito esclusivamente alla ricerca del piacere e degli eccessi più scandalosi.

Beh, è vero, Oscar Wilde è stato tutto questo; ma c’è dell’altro.

Sulle straordinarie doti artistiche di questo scrittore direi che conveniamo tutti: una fantasia inesauribile, un linguaggio ricercato ed elegante, un senso dell’umorismo tagliente e sempre azzeccato, e soprattutto una capacità di leggere e smascherare la realtà con coerenza e senza peli sulla lingua.

Dopo aver letto alcune delle opere più brillanti e famose di Wilde, “De profundis” mi è capitato tra le mani nelle vesti di un librettino sbrindellato pubblicato nel ’74, solo e dimenticato nella biblioteca di casa mia. L’edizione che ho io, poi, è proprio bella anche nella componente esteriore, il che aggiunge fascino al già meraviglioso contenuto: la copertina blu, con un sinuoso fiore azzurro che avvolge il titolo e il nome dell’autore, e le pagine sottili, ingiallite al punto giusto.

L’opera in questione è una lunga e appassionata lettera che Oscar scrisse al suo ex amante Lord Alfred Douglas nei primi mesi del 1897, mentre si trovava nel carcere di Reading a scontare la pena per il reato di sodomia. Quando l’autore uscì di prigione, consegnò il manoscritto all’amico Robert Ross, che ne fece due copie dattiloscritte, una inviata allo stesso Douglas (che negò di averla mai ricevuta), e una seconda utilizzata per le prime pubblicazioni. Il manoscritto originale, affidato al British Museum, fu reso pubblico soltanto nel 1959 e si scoprì che le copie contenevano parecchi errori rispetto ad esso…Quella che possiedo io è la prima traduzione italiana condotta sul testo originale. Wow *.*

Trattandosi di una lettera personale, va da sè che gran parte del contenuto sia dedicata al ricordo di precisi episodi, al chiarimento di incomprensioni, allo sfogo di sentimenti ed emozioni.
La parte del testo che definirei invece “pubblica” inizia intorno a pag.60 e assume le connotazioni di un vero e proprio testamento spirituale, in cui Wilde mette a nudo la sua anima e consente al lettore un’identificazione con essa che è davvero senza precedenti.

Un pianto liberatorio. Ecco cosa mi ha provocato la prima lettura di queste pagine. E stupore, unito alla consapevolezza che le parole che stavo leggendo non potevano che essere frutto di un Incontro straordinario, vissuto da Wilde in quella che per lui fu la condizione di massima sofferenza.

Ma questa è la sorte che mi è stata assegnata; e durante questi ultimi mesi, dopo terribili lotte e difficoltà, sono riuscito a penetrare alcune delle lezioni nascoste nel cuore della sofferenza. I predicatori, e le persone che son solite ripetere sentenze a orecchio, parlano della sofferenza come di un mistero. In realtà essa è una rivelazione. Si discerne ciò che non si è mai stati capaci di discernere. Si affronta l’intero corso della storia da un punto di vista differente.

Sulla stessa scia di “Aut-Aut” (vedi articolo precedente), “De profundis” costituisce un altro tassello di quel percorso di ricerca interiore che ognuno dovrebbe intraprendere nella propria vita. Ciò che di meraviglioso riesce a fare Oscar in questa lettera è parlare di Gesù (lo avreste mai detto?) con un amore e una profondità tali da mettere in luce caratteristiche di quest’Uomo che molto spesso la Chiesa, la morale e la religione hanno faticato ad accettare o hanno semplicemente ignorato. Artista, poeta, supremo individualista…

Cristo non fu soltanto il supremo individualista, fu anche il primo individualista della storia. Alcuni hanno tentato di fare di lui un semplice filantropo come i terribili filantropi del diciannovesimo secolo, o l’hanno catalogato come un altruista insieme agli ignoranti e ai sentimentali. Ma in realtà egli non era nè l’uno nè l’altro. Ha naturalmente compassione dei poveri, di coloro che languono in carcere, degli umili, dei sofferenti: ma più ancora ha compassione dei ricchi, degli epicurei incalliti, di coloro che perdono la loro libertà facendosi schiavi delle cose, o che indossano morbide vesti o vivono nelle case dei re. Ricchezze e Piaceri gli sembravano disgrazie infinitamente peggiori che non la Miseria e il Dolore. […] Vivere per gli altri come scopo cosciente e definito non era il suo “credo”, non era la base del suo credo. Quando egli dice “perdonate ai vostri nemici”, non lo dice per i nemici, ma per la salvezza dell’anima nostra: e perchè l’Amore è più bello dell’Odio. Nel consigliare al giovane ricco di vendere tutto ciò che possiede e darlo ai poveri, non è alla condizione dei poveri che pensa, bensì all’anima del giovane, quell’anima che le ricchezze stanno contaminando.”

Non so voi, ma io, a leggere parole come queste, definirei Oscar Wilde come uno dei più grandi “catechisti” della Storia, e un libro come “De profundis” lo sostituirei senza esitazioni a tanti librettini infarciti di nozioni buoniste, che di “profondo” hanno ben poco. Per inciso, il titolo attribuito a questa lettera è proprio l’inizio di un Salmo, il 129 (qui il testo), noto come salmo penitenziale, e che a mio avviso, invece, è uno più carichi di speranza.

“De profundis” è una storia di conversione, ma non di quelle eclatanti e sconvolgenti; una conversione che consiste nell’accorgersi dell’amore che già abita dentro ognuno di noi.
Il geniale e osannato scrittore.
L’umile e dimenticato carcerato.
Oscar Wilde, un unico, grande, uomo.

Ma nel trattare coi Peccatori, Cristo è più romantico, nel senso di ancora più vero. Il mondo ha sempre amato i santi in quanto più vicini alla perfezione divina. Cristo, grazie all’istinto divino che era in lui, ha amato il peccatore in quanto più vicino alla perfezione umana. Il suo desiderio primario non era nè di convertire la gente, nè di alleviarne le sofferenze. Non mirava a trasformare un ladro interessante in un galantuomo noioso. […] Ma in una maniera che il mondo ancora non comprende, egli considerava il peccato e la sofferenza come cose belle e sante in se stesse, e come forme di perfezione. Sembra un’idea molto pericolosa. Lo è: tutte le grandi idee sono pericolose. Ma che fosse il “credo” di Cristo, su questo non esistono dubbi. Che sia la vera dottrina, su questo nemmeno io ho dubbi. […] Sono certo che se gliel’avessero chiesto, Cristo avrebbe risposto che il momento in cui il Figliol Prodigo cadde in ginocchio e pianse, egli traformò l’aver sperperato le sue sostanze con donne di malaffare, fatto il guardiano di porci ed essersi nutrito delle stesse ghiande mangiate dai suoi porci, nei momenti più belli e sacri della sua vita. A molta gente riesce difficile comprendere questo. Forse si deve finire in carcere per comprenderlo. In questo caso, forse vale la pena di finire in carcere.

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Community organizer a Corviale (RM), community manager di GigsGuide e Calciosociale Italia, soprano nel Coro Giovanile Lavinium e nel Coro della Cappella Musicale della Chiesa degli Artisti. Appassionata di editoria, scrittura, musica e viaggi.

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