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Benedire… in che modo?

Quando usiamo il verbo benedire, la maggior parte delle volte lo coniughiamo al congiuntivo: “Che Dio ti benedica!”

Ma benedire non è semplicemente auspicare che qualcosa di bello accada in un futuro più o meno prossimo. Nella benedizione, per come la intendo io, le categorie della possibilità e dell’attesa – tipiche dell’augurio – vengono meno. Per questo io preferisco l’indicativo. Presente. 🙂

Non “Dio ti benedicA”, allora, ma “Dio ti benedicE”, qui ed ora.
So che dice bene di te, così come dice bene di me e di tutti i Suoi figli, a prescindere dal loro comportamento. Non è un soltanto un augurio, ma una constatazione. “Dire bene” corrisponde, così, a “volere bene” e a “volere IL Bene” per l’altra persona.

Non è forse questo l’atteggiamento di Dio verso di noi?
Il congiuntivo sottintende una condizione, ma l’Amore, quello vero, è incondizionato.

Quanto più significativo sarebbe, alla fine della Messa, sentir pronunciare le parole “Dio vi benedicE” piuttosto che “Vi benedicA Dio Onnipotente…” : comunicare ai figli che l’amore del Padre c’è già, da sempre e per sempre, non solo se si comportano bene.

Quel congiuntivo, a volte, mi fa pensare ad un messaggio sottinteso che interpreto più o meno così: “Fate in modo che Dio vi benedica, mettetelo nella condizione di dire bene di voi con la vostra sana e retta condotta”.

Ancora condizioni.

L’indicativo, invece, rovescia il pensiero: “Dio dice bene di voi perché vi ha creati e vi ama così come siete. La vostra condotta può essere una conseguenza di questo amore, ma può anche non esserlo, perché siete liberi. Dio vi ama lo stesso.”

L’indicativo, come modo della realtà, non ammette incertezze né rimandi e, lungi dal privare l’uomo di responsabilità – “tanto, se Dio mi ama lo stesso, a che serve che io mi comporti bene?” -, investe ognuno di noi di un incarico più grande verso il prossimo, spezzando la catena azione-merito-premio per istituire il circolo vitale consapevolezza-azione-gioia condivisa.

Da un calcolo individualista si passa alla gratuità, da una specie di raccolta punti si passa ad una concreta e sempre nuova esperienza di comunità. Perché, se Dio dice bene di tutti i Suoi figli, non sussistono più differenze né gerarchie.

Adottando questo punto di vista, potremmo smontare persino (!) Wikipedia che, alla voce “Benedizione” spiega: Per alcune religioni è l’azione che un uomo investito di uno speciale potere sacerdotale può esercitare su altre persone o cose affinché queste ultime abbiano il “favore divino” (aiuto!).

Se Dio, per primo, dice bene di tutti indistintamente, quanto più noi siamo chiamati a dire bene del nostro prossimo, a volere il suo bene e a lavorare per esso?

Solo attraverso questa consapevolezza la smetteremo di storcere il naso quando in chiesa mette piede “quello/a lì”, o di rivendicare qualche diritto in più perché noi assolviamo a tutti i precetti e “quegli altri” no.

La vera benedizione si vede fuori dalla chiesa, quando siamo capaci di tradurre il segno in vita.

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Community organizer a Corviale (RM), community manager di GigsGuide e Calciosociale Italia, soprano nel Coro Giovanile Lavinium e nel Coro della Cappella Musicale della Chiesa degli Artisti. Appassionata di editoria, scrittura, musica e viaggi.

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